domenica 25 gennaio 2009

Sum Sur 21

sono l'uomo nero
son qui per portarti via
sono la befana
ti ho portato del carbone
sono la felicità
ti abbraccio una volta sola
sono la rima del mattino
bacerò le tue labbra
sono la luna
ti accuso della mia solitudine
sono il tuo demone
non ti lascerò andare
sono la fame
ti aiuterò a godere dell'abbondanza


sono il tuo demone
son qui per portarti via
sono la fame
ti ho portato del carbone
sono la rima del mattino
ti abbraccio una volta sola
sono la luna
bacerò le tue labbra
sono la befana
ti accuso della mia solitudine
sono la felicità
non ti lascerò andare
sono l'uomo nero
ti aiuterò a godere dell'abbondanza


sono la fame
bacerò le tue labbra
sono la befana
son qui per portarti via
sono la rima del mattino
ti accuso della mia solitudine
sono la felicità
ti ho portato del carbone
sono l'uomo nero
ti abbraccio una volta sola
sono la luna
non ti lascerò andare
sono il tuo demone
ti aiuterò a godere dell'abbondanza

Sur



lunedì 22 dicembre 2008

Blue, blue, my 'word' is blue.

Immergere le mani a cucchiaio in un blue color cous cous elimina le parti negative di ogni frase. Non dire no, mai dire mai. Dire. Dire.
Per contro bere del rossovino maturato allunga le idee a dismisura comequandofuoripiove e i cieli si sentono blu, ma in assenza di prove, assolti, non piangono più... e gettando il seme, poi, c'è l'asso im-piglia tutto. Rosso di Montalcino, Nero d'avola, à la carte. Due semi, un solo frutto, dai le carte. Si gioca, si degusta, si fa un rutto.
La libertà è il respiro di montagna, la res pura di Mantegna, la piramide di dio, quello piccolo, quello mio.
Madido dio dimeni meno mani
nel blu cous cous che scotterai domani
dimeni meno mani di me, tu
nel cous cous senza "no" di color blu
nel cous cous senza nodi, mano passo
getta il tuo seme, tutto im-piglia l'asso.

domenica 21 dicembre 2008

L'incudine nel deserto

E poi mi chiedo: c'è davvero bisogno di un Manifesto? Per manifestare che? L'hanno già fatto, l'hanno già scritto.
Siamo consapevolmente in ritardo, di più d'ottant'anni. Come un bimbuomo per molto tempo ci siamo rifiutati alla nascita. C'è di che gongolare. Perché in fin dei conti stare dietro alle logiche non è più serio che starci davanti o starne lontano. Stare dentro alle logiche è anche meno serio.
Mi dispiace, e chiedo umilmente perdono: parole come queste, come le nostre, oltre a non aggiungere francamente nulla a quanto s'è detto al mondo, dalle origini ad oggi, rischiano anche di dar noia. Non merito nemmeno un insulto.
Per quel poco che ne sappiamo Surrealismo è quel grido strozzato in canna. Una gigantesca illusione: "L'immaginazione è sul punto di riconquistare i propri diritti".
Immaginare è grave. Ma in fin dei conti, non è anche obbligatorio?

Sur
Lo so, sono monotematico. qualsiasi scrivano lo è. uno può ampliare lo spettro del buon argomento che ha scelto, ma alla fine dei conti si parla, tutti, sempre della stessa cosa. ciascuno della sua. c'è chi sa dissimulare, celare il nòcciolo duro sotto polpe sempre nuove, ma non c'è argomento che non sia "lo stesso". nessuno sa parlare d'altro.
e allora io parlo del sonno.
stavolta la riflessione è questa (e non escludo che lo spunto di oggi sia stato da me proposto in passato, su altri schermi): "sonno" è una parola che designa, in un certo qual modo, una cosa e il suo contrario: dormire e non dormire. si ha sonno se e quando si desidera dormire e non si dorme ancora oppure si ha sonno se si è svegli dopo aver dormito (poco). e quando si dorme si è nel sonno.
questo frizzo semantico sbraga la strada a una serie di giochetti che più ne hai e più ne metti. ma a noi (a me) questo interessa poco. quel che interessa è sostanzialmente un altro fatto: quanto più corto è il sonno, tanto maggiore sarà il sonno.
ma ecco che, pensando al viceversa, imprevedibilmente arriva un'onda tutt'altro che anomala a spazzar via il mio lecca lecca quotidiano: più sonno si consuma, meno sonno si ha. in questo caso tutto quadra.
che palle.

sabato 20 dicembre 2008

Enorme la nostalgia dei miei scarsi appunti sull'Internazionale Lettrista, almeno quanto il dolore alla notizia di Dada morto affogato in un pitale colmo di cava/brut e pezzi di arance a macerare.
Tutto collima quando il panico lievita al formulare un quesito semplice eppur-scomodo: perché più d'un belga possono mettere in crisi l'italico stivale al semplice nominarli?

Aracne pentita dissolse la tela e la mangiò
i nodi feroci si aggrapparono al di lei intestino
lacrime dense prendono il volo
dall'invertito sguardo del suo corpo all'ingiù

venerdì 19 dicembre 2008

Aveste visto Gnyos, con certi tramonti d'argento fuso, che se additi l'orizzonte ci rimetti per sempre la punta dell'indice. Aveste ascoltato fremiti d'ali delle rondini di Sohletud, visibili quali sottili penombre su quel sole cascante di cui sopra, sempre in fuga, esse, verso primavere bugiarde.
Allora sì, potreste capire cosa si prova a stare caduchi, supini in un letto di petali d'iris, quando sulla finestra picchietta uno stormo di gocce cieche come la notte, sottili più della vita di una donna sottile. Mi sollevo in uno slancio addominale e scopro che sino a poco prima ero a testa in giù, legato ad un letto verticale, e che la finestra è sul soffitto, e che quella pioggia è resina della quercia che da cinquecent'anni cinge per un fianco (quello bieco adorno di tegole rosse) la mia più intima dimora, e i cui rami e rami ne sovrastano il tetto piatto intonacato e decorato a greche.
Mi alzo in piedi sul letto, faccio due salti sul materasso e con le braccia tese in alto riesco ad aggrapparmi ad un candelabro, saldamente ancorato al comodino di cilegio che da quasi mille anni arreda la mia più intima dimora. Di lì, ondeggiando, salto infine in avanti sgusciando via da un'uscita quadrata e senza porta, posta giusto in mezzo a alla parete che sta di fronte alla finestra che dà sul cielo e sui rami di quercia. Splasce, eccomi adesso nella piscina di liquore d'anice. Due colpi di pinna e sono su. Se vi affacciate su una spiaggia di Gnyos, mi vedrete sbracciarmi, come a chiedere aiuto, scuro e piccolo alla base del sole incandescente che tramonta. Calmi, vi sto solo salutando.

giovedì 18 dicembre 2008

"Il meno che si possa chiedere ad una scultura è che stia ferma."

Salvador Dalì

Il più che si possa fare a una cultura è di muoverla.
Nonchè sia ormai tardo l'orario i fringuelli beccano al mio timpano arguto, ma gioisco del morbido e sintetico guscio sennheiser che mi propina l'aria smossa dal calcolatore, senza così arrecare alcun disturbo ai viaggi onirici del vicino Alex.
Sogno o son desto? Segno col destro? Suono o son questo?
E' dura la lieta novella, di certo l'assonanza favella.

abientò

Sur